Mamma & Lavoro

Mamme a Parigi – Il coraggio di cambiare

Qualche giorno fa é stata pubblicata sulla Ventisettesima ora (il blog del Corriere della Sera) una lettera anonima che molto ha fatto discutere e che, comunque la si pensi, ha scosso le coscienze di tutti noi sul tema, sempre evidentemente molto “caldo”, della  difficoltà per noi donne di conciliare famiglia e lavoro.

 

S. P. ammette di non avercela fatta, di aver fallito sia come madre che come professionista, di non essere riuscita a trovare quel famoso “equilibrio” che consente a una donna, in maniera appagante, di prendersi cura dei suoi affetti e nello stesso tempo di coltivare le proprie ambizioni.

Certo non é facile e una ricetta uguale per tutti, ahimé, non esiste.

Ma c’é un fattore che può accomunare chi da questo sistema contorto e perverso ha voglia di uscire, e si chiama CORAGGIO.

Il coraggio di prendere coscienza del problema, innanzitutto.

Il coraggio di mettere davanti a noi stesse la scala di priorità che vogliamo dare alla nostra vita.

Il coraggio di rinunciare a qualcosa in nome di qualcos’altro di più grande e prioritario.

Il coraggio di cercare dentro di sé le risorse per re-inventarsi una vita e, perché no, una professione più appaganti.

Perché noi donne, forse per l’insita predisposizione alla maternità che ci appartiene, abbiamo una marcia in piu’: la poliedricità e la flessibilità mentale di cambiare in corsa.

Quello che tutti chiamano multitask in realtà non vuol dire solo saper spingere con una mano l’altalena, mentre con l’altra si ninna il bambino urlante in carrozzina, parlando al cliente con il telefono incastrato tra mento e spalla e calciando con un piede un pallone…anche! Ma non solo.

Multitask vuol dire avere più facce, più ambizioni, più passioni. Vuol dire essere mamme ma anche avvocatesse, essere avvocatesse ma anche aspiranti giornaliste, aspiranti giornaliste ma anche possibili imprenditrici.

Vuol dire avere tante risorse unite alla flessibilità e al coraggio, magari anche a distanza di anni, di abbandonare i percorsi infruttuosi per intraprendere nuove strade.

Mi ricordo ancora il momento in cui ho realizzato quello che non avrei mai voluto diventare.

Avevo 25 anni e stavo facendo tirocinio in uno dei più noti studi legali milanesi; non avevo ancora figli ma già un’idea molto chiara del tipo di famiglia che avrei voluto costruire.

Erano le 9 di sera e, nella stanza del mio dominus - una delle avvocatesse senior dello studio - ho assistito alla telefonata che mi ha squarciato la coscienza, cambiandomi le prospettive di carriera (e forse anche la vita).

Parlando al telefono con la babysitter, l’avvocatessa in questione si informava su come fosse andata la giornata del figlio, se si fosse divertito alla festicciola del suo compagno, se avesse finito tutti i compiti, cosa avesse mangiato. Il figlio nel frattempo era già a nanna, e alla mamma forse quelle cose non avrà avuto il tempo di raccontarle nemmeno il giorno dopo.

Sono uscita di li’ e dipinta sul mio volto e scolpita nel mio cuore campeggiava la frase: io così MAI!

Pochi giorni dopo rinunciavo alla gentile proposta di conferma del praticantato presso quello studio, mi iscrivevo a un master in mediazione familiare e, nel frattempo, iniziavo a lavorare per uno studio legale di media grandezza, nell’ottica di porre le basi per un futuro di mamma/lavoratrice più appagante di quello del mio precedente dominus.

Dopo quattro anni nasceva la mia prima figlia e, fin dal primo giorno, capivo che avrei voluto godermi ogni momento della sua infanzia, che non ero fatta per delegare la cura della mia creatura a chicchessia, che non volevo fare la fine di quelle donne in carriera che, con i figli già grandi, ti parlano dei loro rimpianti, della velocità con cui passano gli anni.

Tutte le donne che stimavo di più mi facevano lo stesso discorso: “Ah, se tornassi indietro mi godrei di più i miei figli invece che lavorare come una matta fino alle 8 sera. E per cosa poi?”.

E’ sulla base di questa consapevolezza e della mia personale scala di priorità che ho accettato di sospendere la mia professione di avvocato per seguire mio marito e il suo lavoro lontano da Milano, dapprima a Belluno e poi a Parigi.

E’ cosi’ che ho trovato un tempo e un luogo per ripensarmi, per scavare nelle mie vecchie passioni, per rivedere le mie ambizioni lavorative.

E’ cosi’ che mi sono re-inventata una vita più a misura mia e della mia famiglia, una nuova professione di blogger ed ora anche di imprenditrice agli albori, dove non guadagnero’ certo uno stipendio da avvocato in carriera ma dove sono capa di me stessa, lavoro da casa con i miei ritmi, alle 4 sono davanti a scuola, vado al parco con le mie figlie, le aiuto nei compiti e la sera le metto a letto senza alcun rimorso o senso di colpa e senza che loro sentano il bisogno di dirmi nulla di piu’.

Perché la loro giornata hanno già avuto tutto il tempo di raccontarmela e in parte l’abbiamo vissuta insieme.

Insomma, cara S. P., non hai fallito tu, é il sistema in cui viviamo che ha fallito.

Tuttavia noi donne non siamo destinate a soffrire nel perenne dilaniamento fra famiglia e carriera. Siamo sempre in tempo a cambiare rotta davanti a una vita insoddisfacente, le risorse le abbiamo. Basta solo un pizzico di coraggio per tirarle fuori.

Alessandra Ferrario (Mamma a Parigi)

www.andiamomamma.com

 

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